Omelia del Vescovo per la Santa Messa Crismale del Giovedì Santo 2024

Crismale_2023

Prendere la forma del pane

 Cari fedeli presbiteri, diaconi, religiosi/e, laici!

  1. La Messa crismale che stiamo celebrando in queste ore mattutine alla soglia del Triduo Santo rivela ogni volta un fascino particolare: in essa il Vescovo concelebra con i suoi presbiteri e benedice il sacro crisma e gli altri oli, i sacerdoti rinnovano le promesse pronunciate il giorno dell’ordinazione e la Chiesa riscopre la sua vocazione sacerdotale. La Messa crismale è una delle principali manifestazioni della pienezza del sacerdozio ministeriale del Vescovo e segno della stretta unione dei presbiteri con lui. È Epifania della Chiesa, corpo di Cristo, organicamente strutturato, che nei vari ministeri e carismi esprime, per la grazia dello Spirito Santo, i doni nuziali di Cristo alla sua sposa pellegrina nel mondo. È una vera festa del sacerdozio ministeriale all’interno di tutto il popolo sacerdotale e orienta la nostra attenzione orante e la nostra gratitudine verso il Cristo, il “consacrato per mezzo dell’unzione”. Dunque, benvenuti nel Nome del Signore!
  2. Il pensiero che voglio offrirvi in questa celebrazione è ispirato al nostro Percorso pastorale 2023-2024; sappiamo che invita la nostra Chiesa diocesana a “recuperare la potenzialità performativa della Parola di Dio e la ecclesiogeneticità dell’Eucaristia; Parola e Eucaristia danno forma al cristiano, strutturano l’uomo nuovo, lo educano illuminandolo, nutrendolo, trasformandolo e lo accompagnano nel processo di cristificazione fino a che ognuno possa dire ‘per me vivere è Cristo’ (Fil. 1,21) “quanto più il soggetto si uni-forma alla forma originaria che è Cristo, tanto più esprime efficacemente la verità che lo costituisce. La questione formativa e comunicativa si risolve alla radice nella Forma originaria che è il Verbo e la sua dinamica kenotica che passa a ciascuno nell’economia sacramentale grazie all’azione dello Spirito Santo”. Considerata la vicinanza temporale con la Santa Messa in Coena Domini vorrei proporvi un piccolo itinerario di riflessione centrato sulla potenza trasformatrice della Santissima Eucaristia.
  3. Mi ispiro alla formula agostiniana: prendere la forma del paneSant’Agostino in un discorso battesimale dice così: “Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo (1Cor 10,17). E in questo pane vi viene raccomandato come voi dobbiate amare l’unità. Infatti, quel pane è forse fatto di un sol chicco di grano? Non erano molti i chicchi di frumento? Ma prima di diventar pane erano separati e sono stati uniti per mezzo dell’acqua dopo essere stati in qualche modo macinati. Se il grano non viene macinato e impastato con l’acqua, non prende quella forma che noi chiamiamo pane. Così anche voi prima siete stati come macinati con l’umiliazione del digiuno e col sacramento dell’esorcismo. Poi c’è stato il battesimo e siete stati come impastati con l’acqua per prendere la forma del pane. Ma ancora non si ha il pane se non c’è il fuoco. E che cosa esprime il fuoco, cioè l’unzione dell’olio? Infatti, l’olio, che è alimento per il fuoco, è il segno sacramentale dello Spirito Santo” (Sermo 227, In die Paschae, IV). L’espressione di Sant’Agostino certamente vale per tutti i battezzati. Possiamo, tuttavia applicare il testo alla ‘formazione’ del sacerdote, ministro ordinario dell’Eucaristia.
  4. Mi lascio guidare dallo schema di un libro di H.J.M. Nouwen, un maestro di spiritualità del ‘900 molto apprezzato: Sentirsi amati (Queriniana, Brescia, 2020). Nouwen mette a confronto il viaggio psicologico e il viaggio spirituale, i movimenti della psiche e i movimenti dello Spirito e per identificare questi ultimi ricorre ai verbi usati dal racconto dell’istituzione dell’Eucaristia: preso, benedetto, spezzato e dato. “Queste parole – scrive – riassumono la mia vita di sacerdote, perché ogni giorno, quando mi riunisco intorno alla mensa con i membri della mia comunità, prendo il pane, lo benedico, lo spezzo e lo do. Queste parole riassumono anche la mia vita di cristiano perché, come cristiano sono chiamato a diventare il pane per il mondo: pane che è preso, benedetto, spezzato e dato” (pp.41-42). Noi sacerdoti ripetiamo ogni giorno, nel cuore della Preghiera Eucaristica: “prese il pane e rese grazie, lo spezzò, lo diede…”. In questi verbi eucaristici c’è tutto il mistero della nostra vocazione e del nostro essere sacerdoti, ministri della Chiesa, ministri dell’Eucaristia. Riprendiamoli brevemente, ad uno ad uno, come gesti per ‘prendere la forma del pane’.
  5. Presi, scelti. Tutto ha avuto inizio con una vocazione. Cosa c’è al principio della nostra vita se non la vocazione? Ci sono le vocazioni che accadono nella storia, lungo la via, ma c’è la vocazione che inaugura la tua storia e ti apre la via. Come non pensare al grandioso inno che inaugura la Lettera agli Efesini: “… in Lui [Cristo] ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci ad essere per lui figli adottivi” (1,4-5)? Per quanto il disegno di Dio su ciascuno di noi si sveli solo nello sviluppo storico della singola esistenza e nell’intrecciarsi delle sue vicende, e pertanto solo progressivamente e giorno dopo giorno; tuttavia, sin dall’eternità il Padre ha pensato a noi, amandoci come persone uniche e irripetibili. Questo, che è vero per la vocazione originaria, lo è pure per quella chiamata che, nello svolgersi della nostra singola esistenza – se nel momento dell’adolescenza, o della giovinezza, o più tardi non importa, poiché il “padrone della vigna” chiama ad ogni ora – ci ha portato a scoprire la nostra chiamata al ministero sacro, o alla vita consacrata. Anche in questa vocazione c’è una ‘predestinazione’, che non vuol dire una sorta d’ineluttabile e inesorabile destino; nel linguaggio paolino essere predestinato significa essere amato da Dio. Si tratta piuttosto di un amore che è decisamente coniugato con la libertà, poiché “quelli che ha predestinati, li ha anche chiamati…” (Rom 8,30). L’essere stati ‘presi’ suppone un grande Amore, un amore tutto per noi, dichiara la nostra preziosità e unicità e, proprio per questo, esige gratitudine. La gioia dell’essere scelti porta a riconoscere gli altri fratelli che come me sono stati scelti e ad avere per loro i sentimenti di Dio: ha scelto loro, come me e ha scelto me, come loro…!
  6. Benedetti. Questa parola, benedizione, può aiutarci a immaginare-sognare-rivivere con l’immaginazione/memoria il giorno della nostra ordinazione e a nuovamente aderire con la fede al mistero che in essa si è realizzato. Per un sacerdote (vescovo o presbitero o diacono che sia) queste memorie sono tra le più intime e le più sante. Nella Liturgia dell’ordinazione di un vescovo, presbitero e diacono al momento della presentazione e della elezione del candidato c’è l’affermazione: “La santa Madre Chiesa chiede”! Ponendo queste parole in bocca a un candidato per la sera prima dell’Ordinazione al presbiterato un teologo del ‘900 scriveva: “Domani, mio Dio, si dirà: “La Santa Madre Chiesa chiede che questi nostri fratelli siano ordinati presbiteri”. Dunque, è la tua Chiesa che lo vuole. Tu, nella tua Chiesa. Non io ho scelto te, ma tu hai scelto me. Scelta felice perché è la tua scelta, la scelta delle tue vie imperscrutabili, che sono amore e misericordia” (K.Rahner, Preghiera di un candidato la sera precedente l’Ordinazione presbiterale). Nel rito di Ordinazione è nascosto un valore enorme, una vera benedizione. Benedire, letteralmente vuol dire ‘parlare bene’, o dire cose buone di qualcuno. Nella Sacra Ordinazione, Dio ha ‘detto bene’ di noi! Durante gli anni della formazione iniziale in seminario, un giovane è valutato, apprezzato, incoraggiato, o corretto. C’è pure, nelle scadenze della Sacra Ordinazione e secondo le norme canoniche, uno ‘scrutinio’. Ma poi c’è Dio che benedice! Benedire qualcuno è anche dire sì al fatto che egli è una persona amata da Dio e perciò amarla.
  7. Spezzati.Il momento della frantumazione è anch’esso un momento eucaristico, come l’essere presi/scelti e l’essere benedetti. Sant’Agostino dice che se il grano non viene frantumato, non può prendere la forma del pane. Quante volte ci sentiamo spezzati: delusioni, sconforti, paure, frustrazioni; c’è ancora quello che viene dal nostro essere cristiani e presbiteri: la fedeltà al Vangelo, la coerenza della nostra vita di fede, il tenere sempre ‘alta’ la misura della vita cristiana, le esigenze morali… i comandamenti, le beatitudini. Il Beato Antonio Chevrier (1826-1879) diceva: “bisogna diventare del buon pane. Il sacerdote è un uomo mangiato!” Il cardinale E. Suhard spiegava così: “Non solamente perché le sue occupazioni gli impediscono di fare diversamente, ma perché è suo dovere di padre, di donarsi in cibo ai suoi figli come il Pellicano al quale la liturgia e le sculture delle sublimi nostre Cattedrali paragonano il Cristo nel banchetto eucaristico”. Nella prospettiva eucaristica, l’esperienza dell’essere spezzati non è una maledizione, ma una grazia; non è una fine, è la condizione per essere davvero donati.
  8. Dati. Siamo stati presi/scelti, benedetti e spezzati per essere dati. C’è nell’epistolario paolino un verbo ch’esprime questa dialettica dell’essere scelto e quasi separato e, al tempo stesso, dell’essere destinato a una missione: è il verbo aphorizo in Rom 1,1 (cf. Gal 1,15), dove l’apostolo Paolo, richiamando la propria vocazione, riprende il linguaggio delle vocazioni profetiche e rievoca l’esperienza dell’essere come sequestrato da Dio. Per questo egli si presenta con la credenziale di chi è “scelto per il vangelo di Dio”. L’apostolo è messo da parte per essere inviato. “I presbiteri del Nuovo Testamento, in forza della loro chiamata e ordinazione, sono in un certo modo segregati in seno al popolo di Dio; non, tuttavia, per rimanere separati da questo popolo o da qualsiasi uomo, bensì per consacrarsi interamenteall’opera per la quale il Signore li ha assunti” (PO, 3). Per un sacerdote, la sua più grande realizzazione sta nel vivere davvero, nel personificare questo essere dato. Psicologia e neuroscienze concordano nel dire che la più alta espressione dell’umanità matura è nell’atto del donare/donarsi (cfr Molinari E.,Cavaleri P.A., Il dono nel tempo della crisi, R.Cortina, Milano 2015). Diventiamo delle persone stupende quando diamo qualcosa: un sorriso, una stretta di mano, un abbraccio, una parola d’affetto, di compassione, di perdono… Cosa diventeremo se, come Gesù, daremo noi stessi?: “Io non sono presbitero solo per me stesso: pane e vino mi rimandano agli altri, al loro lavoro e alle loro fatiche, alla loro nostalgia di vita …Come sacerdote sono stato consacrato per questo mondo, affinché un pezzetto di esso intorno a me sia più salvo. Non celebro solo l’eucaristia per incarico e al servizio delle persone, ma tutta la mia vita è a loro disposizione, in particolare per chi è povero ed emarginato e per coloro la cui preghiera è ammutolita e la cui speranza è spenta” (A.Grun).
  9. San Barsanufio, un padre del deserto palestinese dice: se l’uomo non diventa come una briciola di pane (‘psichìon’: cf. Mt 15,27; Mc 7,28), non può abitare con gli uomini (Lett. n. 26). Occorre stare con gli altri facendosi briciola di pane, ossia cibo facile da assumere – giacché la briciola può essere ingoiata perfino da un bimbo appena nato –, cibo digeribile e nutriente, appunto come il pane. Se l’uomo non diventa come una briciola di pane non può abitare con gli uomini! Ed è proprio per questo che il Signore Gesù si è fatto pane per noi. Nel sacramento dell’Eucaristia, istituita nel giorno del suo amore per noi sino all’estremo, egli continua ad abitare fra gli uomini nel segno del pane. A noi sacerdoti queste parole ricordino che è chiamato come uomo, come battezzato e come ministro dell’Eucaristia a essere uomo eucaristico. È questa, sembra dirci san Barsanufio, l’unica vera possibilità che abbiamo per con-vivere. Mangiando del pane noi possiamo solo continuare a vivere; diventando pane, però – una briciola di pane –, noi possiamo convivere! La Pasqua di Risurrezione effonda su di noi quello Spirito del Risorto che ci permette di prendere consapevolezza del nostro essere stati presi/scelti e benedetti ed avere la forza di lasciarci spezzare e di donare la nostra vita in Cristo al Padre per la salvezza del mondo! Così sia!

X Guglielmo Borghetti,
vescovo di Albenga – Imperia

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