«Vescovo Piazza, pastore nel cuore di tutti, un uomo, un cristiano, un pastore»

Nel venticinquesimo della morte del vescovo il ricordo di uno dei collaboratori più stretti

É così che Mario Ruffino, 79 anni di età, 56 di vita presbiterale, di cui quasi trenta di intensa collaborazione accanto a lui, sintetizza la figura del vescovo Alessandro Piazza, dal 1965 al 1990 alla guida della Chiesa di Albenga– Imperia, di cui il prossimo 10 settembre ricorre il venticinquesimo anniversario della scomparsa e sarà ricordato nella Cattedrale di Albenga con una Messa alle ore 18, presieduta da S.E. Mons. Guglielmo Borghetti Vescovo di Albenga-Imperia. «Il nostro primo incontro– racconta don Mario– avvenne a Reggio Emilia, dove avevo seguito monsignor Baroni, nostro vescovo, predecessore di Piazza, che da Albenga era stato trasferito a Reggio: Piazza era appena stato nominato vescovo di Albenga, e mi colpì da subito». «Concluso il colloquio con Baroni, accompagnandolo verso la porta dell’episcopio di Reggio, mi parlò del mio coetaneo compagno di seminario don Giancarlo Bonfante, poi parroco a Lucinasco, in Valle Impero, purtroppo scomparso qualche anno fa, che aveva vissuto parte del cammino di formazione al “Fassolo” di Genova, dove Piazza insegnava Sacra Scrittura. Era profondamente innamorato della Parola di Dio, la amava conoscendola e la conosceva amandola; desiderava, in sintonia col movimento biblico, le cui istanze al Concilio furono accolte nella costituzione “Dei Verbum”, che fosse compresa ed accolta in tutta la sua ricchezza. A questo proposito dobbiamo ricordare il contributo fondamentale che, da segretario della Commissione Cei «all’uopo costituita, diede alla traduzione ufficiale della Bibbia in italiano; vi si dedicò anima e corpo, passando in rassegna ogni singolo passo di ogni libro della Bibbia». «Eravamo a Nava ed andavamo in macchina per la strada dei Boschetti, verso San Bernardo di Mendatica e Monesi– racconta don Mario– a provare ad intonare la traduzione dei Salmi per verificarne la resa nel canto liturgico. Nell’approntare questa traduzione la Commissione seppe fare tesoro dei migliori lavori all’epoca in circolazione, in particolare la Bibbia UTET di Galbiati, Penna e Rossano e dell’apporto di esperti nelle diverse discipline che inseriscono la conoscenza del testo biblico: con Galbiati scrissero, negli anni cinquanta, “Pagine difficili della Bibbia”, introducendo discorsi nuovi, che oggi diamo per scontati, ma allora guardati con sospetto, come quello sui “generi letterari”». Don Mario, nel suo racconto, prosegue mettendo l’accento «sulla stima che monsignor Piazza godeva tra i suoi confratelli nell’episcopato, che lo elessero nella prima delegazione che andò a rappresentare il nostro Paese in quello che diventerà il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, che ebbe come primo Presidente il futuro cardinale Etchegaray»; si sofferma sulla «profonda amicizia che legava Piazza a Franco Costa, come lui genovese, dapprima assistente della Fuci, poi assistente nazionale di Azione Cattolica durante la presidenza di Vittorio Bachelet, e una sorta di “fiduciario” di Paolo VI sulle vicende italiane»: «passavamo a trovarlo ogni volta che andavamo a Roma», sottolinea Ruffino; cita «il cardinale Colombo di Milano, più di una volta ospite in seminario ad Albenga e a Nava, monsignor Pangrazio, Segretario Generale della CEI a cavallo tra gli anni sessanta e i primi anni settanta, monsignor Sibilla, vescovo prima a Savona poi ad Asti, monsignor Barabino, anch’egli genovese, vescovo di Ventimiglia». Ma soprattutto Ruffino tiene ad evidenziare «la reciproca, profonda ed affettuosa stima che legava Piazza e papa Paolo VI»: «il “suo” papa è stato Paolo VI» –sottolinea– «col quale condivideva l’amicizia, di cui ho parlato poc’anzi, con Franco Costa e che, mandandolo ad Albenga, gli disse “la mando in una terra che il Signore ha dipinto con una pennellata di particolare bellezza”». Sono molti i ricordi su cui si sofferma don Mario e, mentre li racconta, gli occhi luccicano e, talvolta, sono solcati da qualche lacrima, di emozione e gratitudine, che egli stesso esplicita così: «non penso di esserci mai abbracciati, però in molti abbiamo percepito che era un padre: sì, un padre, questo è stato monsignor Piazza».

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