Ciò che lo Spirito dice alla nostra Chiesa. Percorso di Chiesa per l’anno pastorale 2020-2021

Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e custodiscono le cose che vi sono scritte” (Ap.1,3)

Cari fratelli e sorelle in Cristo Gesù!

  1. Breve excursus. Dopo aver vissuto con gioia e gratitudine il dono del Giubileo Straordinario della Misericordia (2015-‘16), nell’anno pastorale 2016-’17 abbiamo approfondito e studiato insieme l’Esortazione Apostolica Amoris laetitia nei suoi vari aspetti antropologici, biblici, teologici, etici e pastorali dalla lettera e dallo spirito di Amoris laetitia è nato il Progetto pastorale triennale “Concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2,19). Nella Trinità la Chiesa si scopre famiglia 2017/2020; l’obiettivo generale del Progetto lo riformuliamo cosi: accogliendo con fervore l’insegnamento di Evangelii gaudium (cfr Francesco, Discorso alla Chiesa italiana, Firenze, 10 novembre 2015) per la nuova stagione evangelizzatrice di cui siamo protagonisti, vogliamo ricentrarci su Colui che è “ il “Vangelo eterno” (Ap 14,6) ed è “lo stesso ieri e oggi e per sempre” (Eb 13,8)” (EG 11) Gesù Cristo, per ricomprendere la verità dell’uomo imago Dei e imago Christi, ricomprendere la natura di mistero di comunione missionaria della Chiesa famiglia di Dio nel mondo e per il mondo e acquisire uno stile familiare di evangelizzazione gioiosa. Il Sinodo Straordinario dei Vescovi sulla Famiglia ha sottolineato la necessità di un radicale rinnovamento della prassi pastorale alla luce del Vangelo della famiglia, superando le ottiche individualistiche che ancora la caratterizzano” e ha orientato i nostri sforzi e le nostre scelte affinché  la famiglia sia al centro della missione della Chiesa e della nuova tappa della evangelizzazione, assumendola come vera e propria ‘categoria pastorale’ in quanto la famiglia non è solo un settore, ma la prospettiva unificante della pastorale (cfr Direttorio di Pastorale Familiare, 97).  Si è trattato di compiere una scelta “teologica” e non semplicemente strategica; teologica nel senso pieno perché l’immagine e somiglianza, “divina somiglianza” (M.Ouellet) è stata impressa dal Creatore si, nella persona, nella coppia, creata e redenta, ma anche nella famiglia “riflesso della Trinità”; San Giovanni Paolo II ci ha insegnato a vedere, riconoscere nella famiglia “l’immagine” trinitaria nel suo specifico carattere relazionale, comunionale. “Alla luce del Nuovo Testamento è possibile intravvedere come il modello originario della famiglia vada ricercato in Dio stesso, nel mistero trinitario della sua vita. Il “noi” divino costituisce il modello eterno del “noi” umano; di quel “noi” innanzitutto che è formato dall’uomo e dalla donna, creati a immagine e somiglianza divina” (San Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie, n. 6).  E’ una visione trinitaria della famiglia ulteriormente ribadita: “occorre approfondire i molteplici e profondi vincoli che legano tra loro la Chiesa e la famiglia cristiana e costituiscono quest’ultima come una ‘chiesa in miniatura’ (ecclesia domestica), facendo si che questa, a suo modo, sia viva immagine e storica ripresentazione del mistero stesso della Chiesa” (San Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio 49) e generosamente ripresa da Francesco “La coppia che ama e genera la vita è la vera “scultura” vivente…, capace di manifestare il Dio creatore e salvatore. Perciò l’amore fecondo viene ad essere il simbolo delle realtà intime di Dio (cfr Gen 1,28; 9,7; 17,2-5.16; 28,3; 35,11; 48,3-4) ……infatti la capacità di generare della coppia umana è la via attraverso la quale si sviluppa la storia della salvezza. In questa luce, la relazione feconda della coppia diventa un’immagine per scoprire e descrivere il mistero di Dio, fondamentale nella visione cristiana della Trinità che contempla in Dio il Padre, il Figlio e lo Spirito d’amore. Il Dio Trinità è comunione d’amore, e la famiglia è il suo riflesso vivente(Francesco, Amoris laetitia, 11).
  1. Il ‘cuore’ del nostro percorso. Tutto ciò chiarisce e il volto ecclesiale della famiglia e il volto familiare della Chiesa da cui consegue lo stile proprio dell’agire della Chiesa nel tempo come stile familiare di una evangelizzazione gioiosa. Nella famiglia, “che si potrebbe chiamare Chiesa domestica” (LG 11), matura la prima esperienza ecclesiale della comunione tra persone, in cui si riflette, per grazia, il mistero della Santa Trinità. “È qui che si apprende la fatica e la gioia del lavoro, l’amore fraterno, il perdono generoso, sempre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la preghiera e l’offerta della propria (CCC, 1657). La Chiesa è famiglia di famiglie, costantemente arricchita dalla vita di tutte le Chiese domestiche. “Pertanto, in virtù del sacramento del matrimonio ogni famiglia diventa a tutti gli effetti un bene per la Chiesa. In questa prospettiva sarà certamente un dono prezioso, per l’oggi della Chiesa, considerare anche la reciprocità tra famiglia e Chiesa: la Chiesa è un bene per la famiglia, la famiglia è un bene per la Chiesa” (Francesco, Amoris laetitia, 86-87). Questo pensiero costituisce il cantus firmus del nostro impegno in questi anni trascorsi e nel contempo il cantus firmus della mia ‘proposta pastorale’ come vescovo di questa Chiesa benedetta! Coltivare e far sbocciare il profilo famigliare della Chiesa nella Nostra Chiesa di Albenga-Imperia, radicati in Cristo Gesù, pietra angolare. Non ho ‘altro’ da dirvi. Il primo Progetto Pastorale triennale resterà come ‘roccia’, come ‘fondamento’ di tutto quello che potremo fare insieme per quel tempo che Dio ci concederà. La Nostra Chiesa diocesana ha bisogno estremo di vivere questo clima di famiglia, e solo se questo clima sarà determinato dagli ‘agenti atmosferici’ del Mistero Trinitario: sorgente, grembo e patria  del nostro pellegrinaggio terreno e non da una semplice lavoro di bonifica di relazioni umane fatta di  buone maniere o di filantropico impegno il deserto fiorirà!
  2. Il senso del progettare nell’agire pastorale. Si capisce il senso allora di un ‘progetto pastorale’: con una progettazione pastorale, coscienti del primato dell’azione della Grazia e del processo di salvezza come intervento e opera gratuita di Dio Padre, si vogliono dare linee d’indirizzo comune alla azione pastorale della nostra comunità diocesana per promuovere la comunione, la condivisione e la cooperazione nella piena consapevolezza che l’amore del Padre percorre liberamente strade a noi sconosciute e arriva là dove noi non possiamo arrivare e prima che noi arriviamo. La progettazione pastorale non è una tecnica o una semplice metodologia: è solo un darsi strumenti per raggiungere l’obiettivo dell’evangelizzazione ed essere efficaci nella trasmissione della fede. La nostra progettazione vuole essere secondo lo stile del Mistero dell’Incarnazione, affinché l’azione pastorale sia vera “mediazione” al dono della salvezza, interpretando il tempo presente; è vera progettazione se è libera dal cattivo lievito del pelagianesimo pastorale che pensa che sia sufficiente organizzare bene per ottenere risultati che durano, verificabili e misurabili, è progettazione nello Spirito Santo!
  3. Il nostro compito quest’anno. E siamo arrivati al dunque: cosa facciamo in questo nuovo Anno Pastorale che inizia? A che cosa ci dedicheremo, quale sarà il nostro compito? Discorrendo con il Consiglio Episcopale, il Consiglio Presbiterale Diocesano e i Vicari foranei, ci siamo trovati d’accordo sul fatto che quest’anno dovrà essere un anno di verifica, di discernimento pastorale; non ripartiamo con un ulteriore progetto triennale. Siamo reduci da un anno singolare, la pandemia ci ha costretto a ridimensionare tutte le nostre ordinarie iniziative ed attività, ha scombussolato tanti nostri piani – persino l’inizio della la mia Prima Visita Pastorale è stato rinviato all’autunno del 2021, sempre a Dio piacendo -; ha riformulato la gerarchia delle nostre priorità, ci ha fatto misurare la nostra fragilità. Oggi il Signore ci invita a fare una sosta per porci una domanda: che tipo di chiesa stiamo diventando? Illuminati dalla riscoperta della Signoria di Gesù Cristo e della natura profonda della Santa Chiesa di Dio, stimolati dagli obiettivi che ci siamo posti negli anni del cammino triennale, ci chiediamo: stiamo diventando veramente una ‘chiesa famiglia’? Quali segni scorgiamo di tutto questo? Quali indizi nel nostro stile pastorale rivelano qualche passo in avanti? È il momento di un discernimento comunitario spirituale e pastorale!
  4. Vera e falsa verifica. Quando parlo di verifica non intendo una operazione che cada nella tentazione di ‘pesare’ il lavoro della Grazia, di individuare e misurare i ’successi’ pastorali raggiunti, questa sarebbe falsa verifica che misura, quantifica, valuta e giudica. Quanto Gesù è davvero il Signore della nostra vita, quanto la visione dell’uomo che possediamo è centrata su di Lui ‘re e centro di tutti i cuori’, quanto amiamo la Chiesa di Dio, corpo di Cristo, popolo di Dio, Sposa del Verbo Incarnato? Quanto abbiamo cambiato stile nel nostro agire pastorale? Quanto viviamo il nostro essere Chiesa in prospettiva trinitaria e familistica? Una risposta a queste domande la sa solo il Signore che scruta ‘il cuore e la mente, cuore e reni’ (Ger. 11,20); a noi piccoli uomini rimane il compito di vedere i signa spei, i segni della speranza, i boccioli, i fiori non ancora schiusi, ma presenti nel giardino della nostra Chiesa diocesana. La verifica vera tenta umilmente di cogliere questi segni di una maturazione in atto, con umiltà, con rispetto dell’opera di Dio in corso; verifica, non dimentichiamolo, etimologicamente viene dal latino tardo verificāre, composto di rus ‘vero’ e ficare dallo stesso tema da cui facere, fare, è fare verità, discernere e purificare, tentare uno sguardo sulla realtà liberò da ambiguità verso la verità. Ecco il lavoro di verifica sana, vera: un discernimento pastorale comunitario per cogliere in che misura abbiamo avviato un processo di liberazione dall’individualismo pastorale (primato dell’autoreferenzialità), dalla accidia pastorale (primato del ‘tanto è tutto inutile’), dal pelagianesimo pastorale (primato del ‘fare’), dallo gnosticismo pastorale (primato del sapere disincarnato), dal passatismo pastorale (primato del ‘si è sempre fatto così’). Quali i segni della condivisione, dell’unità, della cooperazione sboccianti? Segni che nemmeno sono immaginabili se interpretati in prospettiva semplicemente orizzontale, ma solo se colti come frutto del fertilizzante potente che è il Dono della comunione che viene dalla Trinità. La logica dei Vangeli non si allinea e non si appiattisce alla logica della progettazione secca per obiettivi. Gli apostoli all’inizio non hanno un progetto, ma semplicemente rispondono a una vocazione che determina la loro identità di discepoli. Successivamente entrano nella visione di Gesù sul Regno dei cieli e si avvia così il processo della partecipazione alla sua missione. Loro non sono i padroni della visione-missione, ma i suoi servitori. Il prodotto concreto del loro apostolato non era previsto dall’inizio, e troppa concretezza degli obiettivi era più causa di conflitto che di convergenza operativa. L’insieme del quadro comincia ad avere senso solo dopo la morte e Risurrezione di Gesù Cristo. Solo dopo aver ricevuto lo Spirito Santo si spegne il vecchio modo di vedere e smettono di proiettare le loro aspettative. La progettazione dev’essere umile… perché realistica, vera! I nostri progetti e obiettivi che ci siamo dati e che ancora ci daremo in futuro, non sostituiscono la chiamata e gli obiettivi di Dio! Solo sono tracce di unità, di condivisione; sono modalità per visibilizzare il Dono della comunione trinitaria nel cammino della nostra Chiesa. Siamo invitati a passare dalla logica dell’esecuzione di attività, a una logica di discepolato corresponsabile. Il nostro scopo non è solo quello di arrivare a un accordo su obiettivi, attività, ruoli contenuti in un progetto scritto; anzi, la finalità principale è lasciarci coinvolgere in un processo di trasformazione proprio mentre progettiamo: la conversione pastorale! La progettazione implica una serie di passaggi per accogliere la vocazione alla conversione di mentalità e mettersi attivamente nel servizio di una visione trasformativa e trasformante, accogliere ‘il pensiero di Cristo’ (1 Cor 2,16). Nel metodo strettamente legato alla logica degli obiettivi ci sono tre momenti di progettazione: l’analisi della situazione, la progettazione operativa e la verifica del progetto. Nella logica del discepolato trasformativo diamo rilievo alla comunità e alla vocazione che determina una visione del futuro nella quale si inserisce una missione entusiasmante; senza rifiutare in blocco la ‘logica degli obiettivi’, siamo però orientati a sposare la ‘logica del discepolato’ alla scuola della Parola di Dio che cambia il cuore e la mente, affina il nostro sguardo, orienta e ispira il nostro agire.
  5. Una luce dall’Apocalisse. Nel processo di verifica/discernimento, collocati nella logica del discepolato, ci facciamo accompagnare dalla luce della Parola di Dio; ri-ascoltiamo fiduciosi e grati i capitoli 1, 2 e 3 del Libro dell’Apocalisse. Sappiamo bene che la lettura di questo che è l’ultimo Libro della Bibbia può apparire scoraggiante: immagini, simboli, figure, allusioni…Non è semplice avventurarsi nelle pagine dell’Apocalisse. L’impatto con le sue immagini a volte forti e terrifiche ha portato a considerare questo Libro biblico come una profezia della fine del mondo che avverrà al suono della tromba del primo angelo (Ap 8,7). Gli studi più recenti hanno restituito il Libro dell’Apocalisse ai suoi destinatari, i credenti/discepoli, eliminando tutto quello che aveva distorto il suo messaggio. La Parola di Dio in esso contenuta non ci è data per incutere terrore, ma per rincuorare; non ci è data per metterci paura, ma eliminare la paura. Le immagini dell’Apocalisse non sono le immagini di un visionario, ma verità per la crescita di ogni credente/discepolo. Non sono minaccia della fine del mondo, ma incoraggiamento a vivere in questo mondo! L’Apocalisse non è l’annuncio di un disastro, ma lo ‘svelamento’ di quel che ancora è nascosto per animare le comunità cristiane, rafforzarle e offrire loro motivazioni valide per resistere alle difficoltà ed alle persecuzioni che vivere in un mondo pagano e neo-pagano comportava e comporta, motivazioni valide e forza per non cadere nella tentazione di cedere  alle seduzioni che sempre mettono alla prova la Chiesa di Dio nel suo cammino nella storia: potere, prestigio, ricchezze …In particolare ci lasceremo guidare da ciò che lo Spirito dice alla Chiesa di ogni tempo attraverso il messaggio contenuto nelle sette lettere indirizzate alle sette Chiese di Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia, Laodicea.  In questi messaggi c’è il messaggio per noi oggi qui; messaggio anche per la nostra amata Chiesa di Albenga – Imperia che quest’anno si interroga su se stessa, chiedendosi pensosa: ‘quale ‘chiesa’ sto diventando?’. Le ‘sette Chiese’ offrono dal punto di vista storico la possibilità di conoscere l’esperienza di fede di un determinato gruppo di comunità cristiane della fine del primo secolo nella provincia romana dell’Asia Minore (attuale Turchia) e sono una testimonianza sulle origini del cristianesimo in quella regione, e nel contempo dal punto di vista spirituale sono un originale ed efficace strumento di comprensione e di verifica per le comunità di ogni tempo. Il Nuovo Testamento e le Lettere di Sant’Ignazio di Antiochia attestano l’esistenza di altre Chiese nella stessa regione, tuttavia Giovanni si indirizza a sette di esse per esprimere la destinazione universale del suo messaggio. Secondo la simbolica numerica ebraica la cifra ‘sette’ indica perfezione, totalità e pienezza: le sette chiese indicano così la totalità della Chiesa, quella totalità che si manifesta nelle chiese locali: dire ‘sette chiese’ significa da un lato la diversità e dall’altro la totalità.  L’ attualità di queste Lettere sta proprio nel trattare questioni che mettono in luce i travagli e le difficoltà della Chiesa nel vivere la fedeltà all’Evangelo. In tutto il Libro dell’Apocalisse, ma in particolare nelle Sette Lettere, è sempre la voce dello Spirito che si rivolge e parla alle Chiese e tutti noi siamo invitati ad accogliere il suo messaggio e a metterlo in pratica: “Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e custodiscono le cose che vi sono scritte: il tempo infatti è vicino” (Ap.1,3).  La lettura del dialogo tra Cristo Risorto e le Chiese dell’Apocalisse ci servirà da ottimo criterio per una seria ‘verifica/discernimento spirituale e pastorale’ del nostro vivere ecclesiale. Per tutti chiedo al Padre ‘unica fonte di ogni dono perfetto’ che ci doni ‘il pensiero di Cristo’ (1 Cor 2,16) per vedere e giudicare la nostra realtà ecclesiale secondo i sentimenti del suo cuore (cfr Fil 2,5).

Maria, Madre del Buon Consiglio ci accompagni e ci sostenga nel nostro cammino.   Buon lavoro!

                                                     + Guglielmo Borghetti
                                               Vescovo di Albenga-Imperia

Albenga, 3 settembre 2020
Memoria di San Gregorio Magno

Note sul “logo” dell’anno pastorale 2020-2021

Il castello di Angers conserva con cura il più antico e grande arazzo d’epoca medievale esistente al mondo: l’Arazzo dell’Apocalisse. Vero e proprio tesoro che ha sfidato i secoli, questa serie di immagini magistralmente tessute su 104 metri, ci racconta l’Apocalisse secondo il Vangelo di San Giovanni.

Penetrate nella penombra della galleria e lasciatevi rapire dalle 65 scene bibliche che sfilano davanti ai vostri occhi su una superficie di più di 100 metri. Commissionato alla fine del XIV secolo dal duca Luigi I d’Angiò, l’Arazzo dell’Apocalisse è un lussuoso capolavoro dell’arte medievale. Il duca si affidò a Jean de Bruges, pittore del re Carlo V, per tracciare i disegni preparatori di quest’opera che illustra l’ultima scena della Bibbia. Ci sono voluti circa 7 anni di lavoro ai licci per creare i 104 metri che costituiscono l’arazzo, originariamente composto da 6 pezzi e 74 scene. La tessitura in lana fu invece commissionata agli atelier parigini di Nicolas Bataille che utilizzarono la tecnica detta “dei licci” e “senza risvolto” che danno all’opera delle rifiniture impeccabili. Conservata in scrigni al riparo da sguardi indiscreti, l’arazzo era esposto soltanto durante rare occasioni, come quella delle nozze di Luigi II di Angiò e Iolanda d’Aragona o ancora per la visita del re Luigi XI. Alla morte del re René fu lasciata alla cattedrale d’Angers che la custodì fino al XVIII secolo. Il secolo dei Lumi danneggerà fortemente l’arazzo che sarà tagliato e utilizzato come telone per i cavalli e persino tappeto. Bisognerà aspettare la metà del XIX secolo affinché l’arazzo sia restaurato e classificato Monumento storico. Il castello di Angers ha dovuto costruire una galleria “su misura” per esporre questo prezioso tesoro che custodisce con grande cura e svariate tecniche di conservazione.

 

 

 

 

 

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