Omelia del Vescovo per la Solennità dell’Epifania 2023 – Cattedrale di San Michele Arcangelo – Albenga

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Il viaggio della fede

1. Nella Solennità dell’Epifania la Chiesa continua a contemplare e a celebrare il mistero della nascita di Gesù Salvatore. In particolare, la festa sottolinea la destinazione e il significato universali di questa nascita. Facendosi uomo nel grembo di Maria, il Figlio di Dio è venuto non solo per il popolo d’Israele, rappresentato dai pastori di Betlemme, ma anche per l’intera umanità, rappresentata dai Magi. Proprio sui Magi e sul loro cammino alla ricerca del Messia la Chiesa ci invita oggi a meditare e a pregare.

2. La luce è il simbolo dominante; è il compendio del Natale. La luce nella Bibbia è manifestazione del Mistero di Dio. Sul fondale del racconto dei Magi c’è la Stella: “una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele…” (Nm 24,17). L’Apocalisse chiama Cristo “stella del mattino” (Ap2,28). Tutta la tradizione cristiana del Natale si snoda in un alone di luce. La stessa data del Natale, 25 dicembre, è stata scelta perché era la festa pagana del Sole, sol invictus; Cristo è il nuovo e vero sole: Cristo è Luce del mondo! Cristo sorge come un sole dal grembo della Vergine. Celebriamo l’Epifania con una rinnovata immersione nella grazia e nella luce, cancellando ogni rimasuglio di oscurità. “La tua luce, Signore ci preceda sempre e in ogni luogo” (post communio).

3. Il simbolismo della luce ci riporta alla strada indicata dalla stella; la stella è chiamata la “sua stella”; i Magi hanno intrapreso un viaggio rischioso, un itinerario “abramitico” sono partiti senza sapere dove andare (cfr Eb.11,8). Levinas, (Kaunas, 12 gennaio1905Parigi, 25 dicembre1995) è stato un filosofo francese di origini lituane e di religione ebraica, nel suo saggio “La Traccia dell’Altro”, discostandosi non poco dalla lettura dantesca a noi più familiare di Ulisse (“fatti non foste a viver come bruti…” (Inferno c. XXVI), paragona l’itinerario del pensiero occidentale  al mito di Ulisse, la cui avventura si conclude, dopo varie peripezie, con il ritorno a Itaca, la sua isola naturale, ossia al “medesimo”. Secondo Lévinas nella vicenda di Ulisse non c’è vero esodo e l’esplorazione dell’altro da sé costituisce solo un momento dell’autocoscienza di sé. Quando l’eroe ritorna a casa, alla fine, la serva, la moglie Penelope, il figlio Telemaco, persino il cane Argo lo riconoscono. È sempre il padrone di un tempo. Egli non è cambiato. È il ritorno dell’identico! Lévinas sostiene che nelle avventure di Ulisse non c’è tanto un itinerario di formazione, di apertura verso l’altro, quanto una continua affermazione di sé, della propria individualità e della propria egocentrica intelligenza. Alla figura di Ulisse così delineata il filosofo contrappone la figura di Abramo che rappresenta il paradigma della verità nomade, della ricerca insonne ed esausta, dell’attesa e della speranza, dell’esodo perenne e del soggiornare in un non-luogo, poiché il viaggio stesso è il luogo del soggiorno. La contrapposizione di Abramo ad Ulisse è la contrapposizione dell’ethos ebraico al logos greco. Lévinas ci invita a cercare di ripensare il mito greco secondo l’ethos biblico dell’apertura, del confronto. Poiché la salvezza non è in un ritorno ma in un’uscita. Così i Magi che lasciano la patria per una terra ignota. Riecheggiano le parole di Isaia “venite saliamo sul monte del Signore…Casa di Giacobbe vieni, camminiamo nella luce del Signore!” (Is 2,3.5).

4.E anche Dio è compagno di viaggio del suo popolo, nomade con esso attraverso l’Arca; è l’ospite che percorre la sua strada, che bussa alla porta per essere accolto a mensa (Ap. 3,20); è il pastore che cammina col suo gregge; è profugo nel suo Figlio che presto dovrà conoscere l’amarezza dell’esilio e della persecuzione, è l’Emmanuele il Dio con noi.

5. Il Viaggio dei Magi diventa l’emblema della vita cristiana intesa come sequela, come discepolato, come ricerca. Il viaggio esige distacco, coraggio, ricerca, speranza. Chi è legato a terra dai pesi delle cose, dei vari attaccamenti, degli egoismi, non è capace di essere viatore. Chi è convinto di possedere tutto e di avere il monopolio della verità non ha l’ansia della ricerca continua; è simile ai sacerdoti di Gerusalemme freddi esegeti di una parola che non li coinvolge né converte. Chi si è troppo ben piazzato nella città non ha bisogno di Betlemme, anzi Betlemme gli appare come un insignificante villaggio di provincia.

Molti si muovono, si fanno pellegrini poveri di verità e tra costoro non vediamo necessariamente i volti più noti e più onorevoli: “molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del Regno saranno cacciati fuori nelle tenebre” (Mt 8, 11.12).

6. Il desiderio di salvezza non conosce confini: tutti lo possono sentire e raccogliere e a Cristo, per strade misteriose giungono schiere di uomini assetati di autenticità e di verità, che lo cercano e lo confessano senza pronunziare il suo nome.

Il racconto dei Magi è una celebrazione del bene nascosto anche dietro fisionomie diverse dalle nostre di vecchi cristiani o di rigidi cristiani. Per noi e per loro è indispensabile, però, la ricerca, il rischio, il viaggio. Alla fine del viaggio, dopo peripezie ed oscurità, silenzi e strade sbagliate ecco, per tutti i giusti, Betlemme: casa del pane. A chi lo cerca con cuore sincero Dio si fa incontro. Aridità, fallimenti, solitudine, tenebre ormai non contano più.

Solo i falsi viaggiatori, come i sapienti del film sui ì Magi Cammina cammina di E. Olmi, restano delusi o ritrovano solo se stessi, dimostrando di non essere mai usciti verso l’Altro.

Anche noi usciamo dal nostro comodo accampamento (Eb. 13,13), dal nostro grigiore di “buoni cristiani”, “il viaggio della vita e il cammino della fede hanno bisogno di desiderio, di slancio interiore. A volte noi viviamo uno spirito di “parcheggio”, viviamo parcheggiati, senza questo slancio del desiderio che ci porta più avanti. Ci fa bene chiederci: a che punto siamo nel viaggio della fede? Non siamo da troppo tempo bloccati, parcheggiati dentro una religione convenzionale, esteriore, formale, che non scalda più il cuore e non cambia la vita? Le nostre parole e i nostri riti innescano nel cuore della gente il desiderio di muoversi incontro a Dio oppure sono “lingua morta”, che parla solo di sé stessa e a sé stessa? È triste quando una comunità di credenti non desidera più e, stanca, si trascina nel gestire le cose invece che lasciarsi spiazzare da Gesù, dalla gioia dirompente e scomodante del Vangelo” (Francesco). Chiediamo a lui di trasformare la nostra religione quieta e spesso ricevuta in eredità, in fede che è vita e rischio. Come i magi, alziamo il capo, ascoltiamo il desiderio del cuore, seguiamo la stella che Dio fa splendere sopra di noi. E come cercatori inquieti, restiamo aperti alle sorprese di Dio in un mondo opaco e guerrafondaio, amante delle tensioni e della competizione: “La tua luce, Signore ci preceda sempre e in ogni luogo”. Cosi sia.

 

 

+ Guglielmo Borghetti,
vescovo di Albenga – Imperia

 

 

Albenga,6 gennaio 2023

Epifania del Signore

 

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