L’intervento del Vescovo – Persone sinodali all’interno delle nostre comunità parrocchiali

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Pubblichiamo il primo dei tre interventi del Vescovo sul tema della sinodalità nelle comunità parrocchiali

Il Codice di Diritto Canonico della Chiesa Cattolica da una bella definizione di parrocchia: «La parrocchia è una determinata comunità di fedeli che viene costituita stabilmente nell’ambito di una Chiesa particolare, e la cui cura pastorale è affidata, sotto l’autorità del vescovo diocesano, ad un parroco quale suo proprio pastore». Questa definizione mette opportunamente in risalto come la comunione sia la finalità primaria di questa porzione di Chiesa, come una cellula, che Giovanni Paolo II nella esortazione apostolica post sinodale “Christifideles laici” descrive come «ultima localizzazione della Chiesa; la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie» non principalmente dunque come una struttura, un territorio, un edificio, ma piuttosto, come insegna il Concilio Vaticano II, «la famiglia di Dio, come una fraternità animata dallo spirito di unità» (Lumen gentium,28).

In questi anni molto si è discusso sulla identità e la missione della parrocchia. Al di là di ogni riferimento alle più diverse ricette apparse per ringiovanirla, emerge con sempre maggiore chiarezza che la parrocchia è una comunità di fede e una comunità organica, ossia costituita dai ministri ordinati e dagli altri cristiani con un proprio pastore – il parroco – vincolo gerarchico con tutta la Chiesa particolare. L’organicità della comunità parrocchiale esprime l’indispensabile e vitale complementarità dell’unità e della pluralità. L’interazione permanente dell’unità e della pluralità nel compito affascinante della “aedificatio ecclesiae” è motivata dal principio della sinodalità, che è la capacità di tutti i fedeli a partecipare, in virtù della loro identità battesimale, alla vita della Chiesa, alla realizzazione della comunione ecclesiale; ogni battezzato è interessato – nel senso di inter-esse, essere parte in causa – a questo bene comune fondamentale: la comunione tra l’uomo e Dio. La sinodalità esprime una posizione di principio radicalmente «democratica», se con questo intendiamo l’interesse di ciascuno all’essere in comunione come bene comune di tutti i battezzati.

Questa forma fondamentale della sinodalità, ovviamente, non va interpretata nel senso egualitario delle democrazie moderne: laddove l’egualitarismo moderno pone come elemento di principio il valore identico di ogni cittadino, perché affetto da strutturale incapacità di stabilire per mezzo di istanze competenti criteri di discernimento sulla responsabilità di ognuno, la Chiesa ha ricevuto da Cristo i mezzi per poter discernere; ciò non significa che il munus regendi, ossia il governo pastorale, abbia il potere di decretare a priori la parte di responsabilità di ognuno nella vita ecclesiale, ma ha l’autorità di riconoscerla. Nella storia della chiesa, l’azione di molti laici ha manifestato un senso di responsabilità e di servizio al bene comune nella vita attiva della Chiesa più determinante e decisivo persino dell’esercizio concreto del ministero di coloro che riconobbero il valore ecclesiale di questa stessa azione. Pensiamo a santa Caterina da Siena, a san Francesco d’Assisi, ad Ozanam, san Giuseppe Moscati, al beato Piergiorgio Frassati e tanti altri. (1^ parte, continua)

+  Guglielmo Borghetti
Vescovo di Albenga-Imperia

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